Vocazione

Ma Dio chiama ancora?

Come chiama? Come si fa a sentire la sua voce?

Cosa si prova quando ci si sente chiamati?

Queste sono solo alcune delle tante domande che nel corso degli anni ho ricevuto dalle molte persone giovani e non, incontrate alla grata del parlatorio.

Quante domande, quanta curiosità, ma anche e soprattutto quanta voglia di capire cosa passa tra una persona apparentemente normale e come tutte le altre e Dio che, ad un certo punto irrompe nella sua vita, la chiama, la invita, la innamora e la prende per Sé.

Tutto comincia da uno sguardo, sì, un semplice sguardo, ma non uno come tanti, uno sguardo completamente diverso, intenso, profondo, che mentre guarda ama, ricrea, rivitalizza e sostanzia di senso. E’ il Suo sguardo, quello di Dio verso la sua creatura, l’opera uscita dalle sue mani, da sempre pensata, voluta e amata. Quello sguardo in un istante è capace di comunicare alla persona che lo riceve tutto questo. In un istante ci si sente amati come non mai, ci si sente persone piene di senso, uniche e irripetibili chiamate ad un confronto personale e totalizzante con Lui. E il resto? Il resto, ossia tutto quello per cui fino a quel momento si era vissuto sembra impallidire di colpo, perde di spessore, di importante, di attrattiva; c’è, continua ad esserci, ma Lui, Lui è di più, molto di più e chiama, invita con una dolcezza, una grazia e una persuasività uniche, mai provate e vissute, ma assolutamente godute e apprezzate.

Si capisce di appartenere a Qualcuno, ci si sente come presi dentro, ma non schiacciati, annientati, strumentalizzati, come facciamo noi quando prendiamo possesso di qualcuno, NO!
Più Dio prende possesso di noi, ossia ci invade, ci avvolge, e più noi diventiamo noi stessi, ci realizziamo secondo le nostre capacità e talenti, mettiamo davvero a frutto i doni di natura e grazia che abbiamo ricevuto e di cui, magari fino a quel momento, non eravamo neanche ben consapevoli. Insomma piano piano, giorno dopo giorno, sì dopo sì, Dio tira fuori il meglio di noi e da noi, ci svela a noi stessi, ci dice chi siamo e a che cosa siamo stati chiamati e per che cosa, da sempre, siamo stati pensati.

E questo è il primo passo, da qui parte una nuova vita non più vissuta “in solitario”, ma continuamente rivolta verso un Altro che diventa il nostro “TU”, il nostro interlocutore, amico, compagno di viaggio e poi, via via che cresce l’intimità, la conoscenza, la conformazione fidanzato e sposo per un’unione piena, totale e trasformante, ma…….

questo, se vi interessa, ve lo dirò un’altra volta.

Quando le persone ci vengono a trovare ci chiedono sempre:

“Ma come mai ha scelto questa vita?”

“Perché ha scelto proprio la clausura? Non poteva fare la suora che “sta fuori”?”

Domande lecite e, se vogliamo, anche più che comprensibili, ma che partono da un presupposto sbagliato. Infatti noi siamo normalmente portati a ragionare partendo da noi stessi, ossia prendendoci come punto di partenza di tutto; noi pensiamo, noi decidiamo, noi scegliamo,noi facciamo, ecc…..ma in realtà le cose non stanno così.

Quando noi scegliamo un certo tipo di vita come ad esempio: il sacerdozio, la vita consacrata o anche la vita matrimoniale, più che scegliere, rispondiamo ad un invito, ad una chiamata, ad una proposta che ci viene fatta e che noi, nell’intimo di noi stessi, sentiamo essere vera, realizzante e credibile.

Allora come potete vedere tutto si capovolge. Quello che conta non è scegliere la strada giusta per noi, ma mettersi in ascolto dello Spirito, capire quale sia la strada che Dio ha scelto e pensato per noi da sempre.
Lui che ci ha creati e ci conosce profondamente, come neanche noi ci conosciamo, ha su ciascuno di noi un progetto unico e irripetibile e ci chiede, con l’ umiltà che solo Dio ha, se vogliamo aderire al suo progetto, se vogliamo dire il nostro “sì”.

Lui sta alla nostra porta e bussa, senza stancarsi bussa ogni giorno, ad ogni ora del giorno, ma badate bene: bussa!! Non butta giù la porta a spallate, non invade il nostro spazio con prepotenza, quasi a voler imporre la sua presenza, come spesso facciamo tra noi.

No! Lui sta alla porta e aspetta che ci accorgiamo che sta bussando.
E come fare per accorgersi? Beh, bisogna che ci sia, in noi e attorno a noi, un certo silenzio, di pensieri, parole, discorsi, ricordi, ecc….. altrimenti il suo bussare resta inevitabilmente soffocato.
Ma “Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me. (Ap. 3, 20)……….e a questo punto quello che può succedere è svariatissimo, unico e irripetibile come ciascuno di noi. Ognuno ha la sua storia da raccontare e sono tutte storie bellissime.

Se volete magari la prossima volta provo a raccontarvi la mia…………

Eccomi, come promesso, a cercare di dire qualche cosa sulla mia chiamata, unica e irripetibile, come tutte le chiamate, perché ognuno di noi è unico e irripetibile.
Tutta la mia vita è stata segnata come da un tema dominante: il bisogno di essere amata e amare.

Mi ricordo che già da adolescente la sera, prima di dormire, pregavo e sempre chiedevo a Dio che mi facesse trovare qualcuno da amare e che mi amasse. Sono cresciuta circondata di amore e attenzioni, a cominciare dalla mia famiglia e poi via via  nei vari ambienti che ho frequentato: scuole, luoghi ricreativi, università, lavoro, ecc…, ma era come se sentissi che l’amore che ricevevo non fosse mai abbastanza per colmare la misura del mio cuore e così finiva che a volte mi rattristato e soffrivo di questo incolpando ingiustamente le persone, senza sapere (infatti allora ancora non lo sapevo) che la mia sete era segno di qualche cosa d’altro e che nessuno avrebbe mai potuto colmarla o esaurirla se non Colui che di fatto l’aveva provocata e “scritta” in me da sempre: Dio!

E così dopo essere arrivata ad avere tutto quello che mi sembrava necessario per una vita realizzata e felice, ossia: una laurea, un lavoro, un fidanzato con cui pensavo di costruire una famiglia, amici, possibilità di viaggiare e quant’altro, mi accorsi di essere vuota perché non riuscivo a trovare in niente attorno a me la risposta alla mia sete interiore.

Che fare allora? Ricordo che mi sentivo come fallita, come chi ha lavorato e investito tanto e poi si ritrova vuoto, senza risultati e deve ricominciare da capo, ma senza l’entusiasmo iniziale e con un certo scetticismo e scoraggiamento. Per la prima volta capii che io da sola non bastavo per sbrogliare la matassa, che non ero in grado di dare un senso alla mia vita, ma che avevo bisogno di Qualcun altro e così chiesi aiuto.
Mi decisi a trascorrere un paio di giorni in silenzio e solitudine, superando la paura di ritrovarmi sola con me stessa, le mie domande profonde, le mie insicurezze. Ma quel giorno vinsi ogni resistenza mi ritirai in un luogo tranquillo per stare con me stessa e riflettere sulla mia vita, sulla direzione da prendere e sul senso di certi avvenimenti vissuti. Ricordo che fu per me difficile gestire il tempo, mi sembrava che le ore non passassero mai; dopo neanche un’ora di silenzio mi pareva di aver già fatto tutto: avevo pregato, letto, meditato….non sapevo più che fare, mi annoiavo e allora? Allora non ho trovato cosa migliore che mettermi a dormire, sì mi sono fatta una bella dormita tanto per ingannare il tempo. Beh adesso dico, dopo 16 anni, che quella dormita è stato il tempo più ben speso della mia vita perché proprio in quello spazio di “inattività” Dio è arrivato, anzi era già lì ed io, per la prima volta me ne sono accorta. Che meraviglia!! Mi sono accorta che LUI era lì per me, mi guardava con un amore tenero e fiducioso, con speranza, come chi sa il valore di una cosa e la vede perfettamente nella sua verità e bellezza. Io mi sono sentita guardata e amata per quello che sono e valgo veramente, mi sono vista inserita in un progetto molto più grande di me che Dio da sempre ha pensato per me.

Eccolo l’Amore che avevo sempre chiesto e cercato: era lì per me.
Sì lo avevo riconosciuto era l’Amore della mia vita!
Le mie preghiere di ragazzina adolescente erano state ascoltate ed esaudite.

Pur non avendolo mai provato prima capii subito che quell’Amore era diverso da tutti gli altri ed era l’unico in grado di soddisfare il mio cuore, di darmi senso e appagare la mia sete.
Mi accorsi subito che l’essere “amata” significava allo stesso tempo essere “chiamata” per nome, investita di un compito, una missione unica, pensata ad hoc per me fin dall’eternità.

Ricordo perfettamente che quel giorno al momento di tornare a casa,
nel varcare il cancello di uscita,
ho come avuto la percezione interiore di quello a cui ero chiamata,
ho capito che Dio era in me e da quel momento la mia vita è stata una “vita nuova”,
ossia la vita di Dio in me.